La sua parola sapiente, alimentata dall’attento ascolto della Parola di Dio e dalla meditazione, rendeva ogni giovane, con cui veniva in contatto, consapevole di essere detinatario di una chiamata particolare da parte di Dio, a cui si può rispondere soltanto con un amore che diventa servizio leale e generoso nella Chiesa e nella società.
La nomina a canonico penitenziere della Cattedrale, nel settembre 1957, gli offrì una ulteriore occasione di esercitare la sua paternità con mitezza e fermezza insieme. Tanti i figli prodighi da lui aiutati a rimettersi in cammino, per riscoprire la bellezza umana e cristiana della vita, confidando nell’amore misericordioso di Dio.
Riversò in questo e negli altri ambiti del suo ministero tutta la ricchezza di una spiritualità delineatasi fin dal 1947 quando, avendo aderito alla Società Operaia, fondata da Luigi Gedda qualche anno prima, fece sua, approfondendola progressivamente, la lezione donataci da Cristo nel Getsemani.
A sé stesso ed agli “operai” del “reparto” di Lecce propose costantemente l’esigente confronto con il Fiat di Gesù al Padre, testimoniando, dal confessionale e dalle molteplici “cattedre” affidategli nel corso del suo servizio sacerdotale, che da quella estrema prova d’amore viene all’uomo la forza nelle sofferenze e nelle prove.
La sua spiritualità si è nutrita anche del Fiat di Maria, atto libero di piena adesione alla volontà di Dio, un “sì” senza esitazioni, colmo di gioia perché suscitato dalla fede e dall’amore. Il 13 maggio 1967, cinquantesimo anniversario dell’apparizione della Vergine a Fatima, sottolineò: “La Madonna cantò il magnificat dopo aver detto ecce ancilla: dall’accettazione della volontà di Dio germoglia l’inno dell’esultanza e della gratitudine”.
La totale donazione a Cristo si è espressa, in don Ugo, in disponibilità completa alla Sua Chiesa. Attento ai fermenti di rinnovamento che avevano preceduto il Concilio, ne accolse con entusiasmo i documenti, facendone oggetto di studio personale e tema di riflessione comune. Con forza respinse ogni tentativo di contrapporre la Chiesa di popolo alla Chiesa istituzionale.
Nominato delegato vescovile per l’Azione Cattolica diocesana, nell’arco di tempo in cui svolse tale compito, ossia dal luglio 1963 al gennaio 1975, si adoperò perché la collaborazione con la gerarchia scaturisse da reciproca fiducia e, obbedendo alla lettera e allo spirito del Concilio, si desse il primato ad una solida formazione religiosa che avrebbe permesso ai laici di partecipare con i propri carismi e le proprie responsabilità alla missione della Chiesa nel mondo.
L’incarico di Vicario episcopale per l’apostolato dei laici, nel gennaio 1969, rese ancora più intensa la sua attività finalizzata alla formazione di un laicato all’ altezza dei tempi.
Negli anni Settanta in aggiunta ai compiti consueti, come il lavoro in Curia, gli fu assegnato dal 1969 al 1972 l’incarico di cappellano della Casa di pena di Lecce dopo decenni di volontariato festivo e, soprattutto, quello di parroco nella basilica di S. Giovanni Battista al Rosario.
Mons. Minerva constatando “l’entusiasmo e la gioia sacerdotale di potersi donare sempre più a Cristo nel servizio diretto ai fratelli», pensò di fargli cosa gradita affidandogli nel 1972 la comunità «dove aveva sempre lietamente profuso i doni del suo sacerdozio sin dai suoi albori”.
Con energia e dedizione affrontò il nuovo ruolo cercando di dare risposta alle svariate esigenze che venivano da un tessuto sociale caratterizzato dall’emarginazione e dall’abbandono. Nulla lasciò di intentato perché la comunità desse valida testimonianza di vita ecclesiale e apostolica ed i risultati non mancarono, anche se a lui non parvero soddisfacenti.
Nel 1975, quando ormai pensava di essere approdato ad un ministero in qualche modo conclusivo del suo servizio nella Chiesa di Lecce, fu nominato Vicario episcopale e, dopo due anni, Vicario generale […].
Notò l’originalità innovativa del discorso con il quale l’Arcivescovo mons. Mincuzzi si presentò, il 5 aprile 1981, alla Chiesa di Lecce ed invitò i laici a collaborare generosamente, ovunque fosse richiesta la loro opera, mettendo a servizio dei fratelli i doni di natura e di grazia perché tutto non tornasse nelle mani del clero […].
Nei mesi che seguirono, più Moneygram agent volte palesò che stava ormai “per tirare i remi in barca”, non perché ci fossero i segnali di una non perfetta condizione di salute, ma perché sicuramente avvertiva, con una consapevolezza tutta interiore, che la fine era vicina.
Così la morte avvenuta nella “sua” basilica di S. Giovanni Battista al Rosario nelle prime ore di sabato 6 febbraio 1982, fu certo inaspettata per noi, ma non lo fu per lui che non solo negli ultimi tempi, ma in tutta la sua vita aveva, come le vergini sagge, atteso il Cristo con la lampada colma d’olio.
Non è difficile vedere in quell’inginocchiarsi ai piedi dell’altare della Madonna di Pompei con la corona che scorreva fra le dita, l’ultimo “sì” a Dio per la Sua gloria e per il bene della Chiesa da lui amata e servita. Ma si legge anche la risposta del Signore alla preghiera del suo servo fedele: “La più umile delle nostre cose, la nostra più vera ricchezza, sarà l’unica che non ci lascerà, l’unica che verrà con noi, sotto terra, quando tutte le altre cose ci lasceranno e due braccia di terra in prestito saranno tutto il nostro mondo… Così possa trovarmi, così possa essere tradotto al tribunale, così la corona della mia vita, la corona della mia morte, possa diventare la corona della mia eternità… in quell’ora estrema io ti aspetto o Madre: il tuo apparire sarà il segnale della mia salvezza; il tuo Rosario mi aprirà le porte del Cielo”.
Lilia Fiorillo