Caro mea vere est cibus et sanguis meus vere est potus!
I Alimento di fede
La solennità del rito e l’entusiasmo dei cuori, l’effluvio floreale e l’iridescenza solatia, spirito e materia, natura e grazia si fondono con i concenti delle schiere angeliche e le armonie delle masse umane nel riecheggiare la gloria di Colui che ha rinchiuso la sua infinità nel breve giro di un’ostia, che non contento d’aver nobilitato la natura umana unendola ipostaticamente a Sè, ha voluto divinizzare ogni uomo trasformandolo in Sè, mediante la comunione eucaristica, dandosi a cibo delle sue creature sotto la specie del pane, a bevanda sotto le apparenze del vino. Caro
Cibo e bevanda, pane e vino ci richiamano alla grama vita quotidiana, che col surrogato dell’uno e dell’altra tentiamo strappare alle strette della morte.
Cibo e bevanda, pane e vino oggi ci richiamano alla vita dello spirito, che nelle profonde anemie esige un corroborante capace di restituirla a floridezza.
E questo accostamento mi fa pensare all’evidente analogia che corre tra la vita naturale e quella soprannaturale.
Osservate: la madre dopo aver durante il periodo della gestazione dato al frutto del suo amore qualcosa delle sue ossa e del suo sangue, generatolo continua a nutrirlo col suo latte, perchè la vita germinale abbia pieno rigoglio e completo sviluppo.
Osservate ancora: il Cristo, che come Verbum Dei insieme col Padre e con lo Spirito Santo ha creato l’uomo, dopo non solo ha provveduto al suo sostentamento fisico con il contributo del regno vegetale ed animale, ma ha dato Se stesso ad alimento: caro mea sanguis meus
E appunto quest’analogia sarà a fondamento del mio dire in questo triduo Eucaristico. Se la vita cristiana si compendia in un fatto di fede, di speranza, di carità, l’Eucaristia appunto perchè panis vitae, sarà alimento.
Alimento di fede l’Eucaristia, perchè essa è un mistero di fede, perchè essa è il compendio della nostra fede.
A. Mysterium fidei: come stupito, in preda alla meraviglia, scandendo sulla coppa del vino le parole di Gesù, il sacerdote ricanta ogni volta il leit-motiv del sacrificio eucaristico: mysterium fidei.
Mistero: verità superiore all’intelligenza umana e che noi crediamo perchè Dio l’ha rivelata.
Di fede: di ciò che è sostanza di cose sperate ed argomento delle non parventi.
Verità superiore: digitus Dei est hic. E come già nei riguardi dell’Incarnazione il profeta Geremia aveva gridato al miracolo: creavit novum Deus super terram: foemina circundabit virum
Così furono colpiti da stupore i Cafarnaiti, trasecolando innanzi alla promessa di Gesù…
“Durus est hic sermo“: sì, perchè nella penetrazione dei misteri non è l’acume dell’intelligenza che conta, ma la vivacità della fede.
Fede, questa virtù teologale infusaci da Dio nel Battesimo, per cui aderiamo alla verità rivelata per l’autorità di Dio che rivela. E’ questa virtù che sta a fondamento di ogni mistero e che potenzia lo spirito nella penetrazione delle più alte verità, a quel modo che una lente d’ingrandimento eleva la facoltà visiva della pupilla. Quella fede che ha ispirato i rozzi graffiti delle catacombe, che ha guidato la penna dei Padri e degli Scrittori ecclesiastici, che ha dettato la Summa di Tommaso d’Aquino e la Commedia dell’Aligheri, che ha vivificato le pietre del duomo di Colonia e di Orvieto: tutte strofe d’un identico poema, che canta.
“Fides mihi ubique dux fuit et alimentum apposuit” scolpiva già nel II secolo Abercio sulla lastra del suo sepolcro.
La fede, che era stata maestra, quando in luce incandescente inondava i pascoli palestinesi e drizzava i passi dei pastori alla culla di Betlemme per adorarvi il nato bambino; che era stata maestra, quando s’accese argentea in una stella occhieggiante dalla calotta azzurra e indicò ai Magi la grotta; che permeava di sè la mente di un S.Luigi IX re di Francia, il quale, dinanzi alle meraviglie della corte per aver l’Ostia consacrata assunto le vezzose fattezze d’un bimbo, durante l’esposizione solenne nella cappella di Palazzo, si rifiutava di constatare personalmente il prodigio, asserendo non essere ciò una novità per lui credente nella presenza reale.
La fede, dico, spinge la nostra lingua a snodarsi in un’aperta professione dommatica, mentre il sacerdote eleva alla nostra adorazione le sacre specie, ripetendo le parole dell’Apostolo incredulo innanzi all’umanità risorta del Redentore: “Deus meus et Dominus meus“.
Alle aquile del pensiero la vaghezza di librarsi a voli vertiginosi nella penetrazione, a noi la gioia di ricantare la fede di tutte le età: docti sacris institutis
Quanto è nobile, onorifico, consolante ripetere ogni giorno, fondati su una fede incrollabile, tra il bagliore di mille ceri accesi e le volute dei turiboli fumanti, il palpitare di cuori sinceramente cattolici e il piegarsi di intelligenze veramente grandi: Verbum caro
B. Compendium fidei: non basta. Riconoscendo per fede la presenza reale di Gesù nell’ ostia non solo accettiamo un articolo della nostra fede, ma vi compendiamo tutto il Credo.
E che ciò sia vero basta dimostrarlo appellandosi ai due misteri principali della nostra fede: unità e trinità incarnazione.
Han tutto il sapore di una onnipotenza le parole sacramentali: hoc hic. In forza di esse, vi verborum come si esprimono i teologi, il pane si transustanzia nel corpo, il vino nel sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, quello stesso corpo che oggi è glorificato nei cieli e che nacque un giorno in terra da Maria Vergine; quello stesso sangue, che dalla circoncisione alla crocifissione fu sparso in remissione dei peccati.
Vi concomitantiae Vi circuminsessionis
Pronunziate quindi le parole della consacrazione la SS.Trinità è presente sotto le sacre specie non per quella ubiquità assoluta che a Dio compete come a purissimo spirito, ma per un’ubiquità sua propria, in modo tale che se per assurdo la Divinità non fosse onnipresente, le tre divine Persone comincerebbero ad essere presenti lì dove è un pane, lì dove è un calice. E se è vero come è vero che il Paradiso consiste nella visione beatifica di Dio, i beati comprensori direi non si trovano in condizioni migliori delle nostre, perché noi nell’Eucaristia possediamo la stessa Divinità, tutta la Divinità mentre l’assenza dello splendore, irraggiato dal seno dell’Altissimo nell’immensità dei cieli, è compensata dall’eccesso dell’amore, che la bianca ostia suscita e avvampa nei nostri cuori.
Fu un sì dolce pensiero che dettò alla penna: quando io penso che occorre un momento, nel quale le ineffabili operazioni di gener. e spiraz. e questi atti sublimi hanno per santuario il mio cuore, io mi prostro sopraffatto dalla commozione e dall’entusiasmo.
Obstupescite, caeli, super hoc! Stupite su questo prodigio di unione del Creatore con la sua creatura, che renderebbe folle di gioia la mia anima, se mi fosse data tanta forza d’intelligenza da penetrare tali meraviglie.
Ed hanno ancora un valore di ricapitolazione storica quelle parole…
La vita di Gesù, che poi è la vita della Chiesa, nel sacramento dell’Eucaristia si rinnova continuamente dalla culla alla tomba.
O vere veneranda sacerdotum dignitas, in quorum manibus, velut in sinu Virginis Filius Dei incarnatur: è l’aquila d’Ippona, che così parlando vede riprodursi il mistero dell’Incarnazione al momento della consacrazione delle specie.
E Bernardino da Siena raggiunge il contrasto paradossale, notando che mentre a Maria fu concesso una volta sola generare Gesù il sacerdote lo può sempre che pronunzi le parole taumaturghe.
E non si rinnova per il Cristo eucaristico la passione incruenta.
La morte redentrice poi, operata nel sacrificio del Golgota è riprodotta dal sacrificio eucaristico, che ne è ripetizione e applicazione.
Ripetizione, perché la Messa non è un nuovo sacrificio, ma lo stesso sotto forma diversa, in quanto sulla croce fu cruento, sull’altare incruento, ma sul Golgota e sull’Altare abbiamo lo stesso sacerdote e la stessa vittima.
Applicazione, giacché la nostra redenzione nel sacrificio della croce si contiene in actu primo, in quello dell’altare in actu secundo. Col sacrificio del Golgota abbiamo il rimedio alla salute, con l’Eucaristia ne abbiamo l’uso; quello ci ha meritato l’amicizia divina e il diritto all’eredità celeste, questo stringe quell’alleanza e ci dà il germe di quella vita di gloria.
Aveva ragione dunque Tommaso d’Aquino di cantare:
Se nascens dedit socium. Magnifica sintesi della redenzione in luce eucaristica uscita più che dalla penna dal cuore dell’Angelico. E per questa strofa mirabile diceva il nostro Manzoni avrebbe dato tutti i suoi inni sacri.
Sursum corda, o fratelli. Anche noi oggi a distanza di diciannove secoli non abbiamo nulla da invidiare a coloro che ebbero la fortuna d’incontrarsi col biondo Nazareno, che potettero toccarne le vesti, vivergli a fianco.
Sotto i candidi veli è celato il Figlio di Maria, con lo stesso corpo
Non est natio
Se il nostro apparato sensorio pretende portare il suo contributo nel cerziorare la nostra intelligenza circa l’augusta realtà, che la polvere dei chicchi e l’umore degli acini nascondono, ricordiamo la parola di Gesù:
“Beati i mondi di cuore, perchè vedranno Dio”. Le più belle menti, le più profonde intelligenze si son fatto un pregio di accogliere la parola di Gesù che è parola di Dio ed han creduto: forte la loro ragione, grande la loro fede, sano il loro cuore. Altre menti, altre intelligenze han rifiutato la verità, han dichiarato assurdo ciò che è solo misterioso: non già perché il loro acume intellettivo non raggiungesse l’elevatezza dell’argomentazione filosofica e teologica; ma perché il loro cuore era guasto, l’aveva occupato satana col suo materialismo pratico ed allora quae conventio inter Christus et Belial?
Adoriamo, piegando la fronte superba, una verità che tanto ci sublima, e se i sensi si mostrano ribelli si levi ed equilibrarli la fede granitica nella parola di un Dio che non s’inganna, perché infinitamente saggio, nè può ingannare, perché infinitamente buono.
Al Padre al Verbo allo Spirito, l’invisibile Trinità resa presente nell’umanità divinizzata del Figlio di Maria, lode e benedizione.
E sia vanto per noi armonizzare mente e cuore alla mente angelica e al cuore serafico di Tommaso d’Aquino, gridando la nostra fede:
Visus, tactus, gustus
Sed auditu solo
Credo, Domine, adiuva et adauge fidem meam
II Alimento di speranza
La fede sbocca logicamente nella speranza, anche perché nella definizione c’è un aggettivo che alla speranza si riallaccia.
Il cristiano fu detto l’uomo dell’avvenire.
“Anche la speme, ultima dea fugge i sepolcri!”.
Nei marosi della vita come sulla lastra del sepolcro aleggia vivida una speranza, e negli uni e nell’altra è sempre dal Cristo ch’essa si parte; dal Cristo ha promesso di essere con noi sino alla consumazione dei secoli. E se la sua promessa ha un riflesso dommatico nella infallibilità del suo Vicario, e nella indefettibilità della sua Chiesa, ha un’attuazione più sensibile nell’augusta presenza…
Del tempio antico: elegi et santificavi locum istum, ut sit Nomen meum ibi in sempiternum et permaneant oculi mei et cor meum ibi cunctis diebus. Il linguaggio metaf. ha da intendersi in senso letterale del tab. del N.T., in cui alberga il cuor carneo di Cristo e donde ci mira realmente con i suoi occhi umani.
A. Forza del Cristiano: col peccato dei nostri progenitori, la vita nostra è diventata un intreccio di miserie: miserie fisiche e morali, private e pubbliche: odi, disgusti, risentimenti, malattie, morti. Homo natus; dies pauci et mali; militia est vita hominis
Non vi sarà un sollievo a tanti mali che ci assalgono e ci schiacciano. Bisognerà sempre ingollare questo calice di dolori, senza trovare una stilla di miele che ne temperi le amarezze. No. Se la sofferenza è retaggio della nostra vita, non è però senza rimedio; se il dolore ci preme ai fianchi non è però senza consolazione.
Ma dove troveremo il balsamo. Nel mondo? Negli amici?
In quell’ostia, dove la fede c’insegna esser presente quel Dio, definito dall’Apostolo: Deus misericordiae et totius consolationis
Il pietoso Signore vide le afflizioni umane sulla terra, scorse l’uomo assediato da pene e da affanni, in mezzo alle strette del dolore e dello sconforto, lo mirò battersi tra gli assalti del nemico e decise rimanersene sulla terra.
“Misereor super turbam”.
“Omnia possum in eo qui me confortat!”
“Si Deus pro nobis quis contra nos?” E con questo grido di battaglia sulle labbra sulle arene degli anfiteatri e sugli spalti dell’azione, nei chiostri e tra le mura domestiche, i gloriosi martiri di ieri e gli oscuri eroi di oggi scendono all’attacco frontale, sicuri della vittoria.
Tarcisio, Pancrazio, Venanzio non sono nomi esclusivi dell’era dei martiri ma si ripetono in Luigi, Giovanni Stanislao, Gabriele, più ancora in Pier Giorgio, Loreto, Contardo…
Agnese, Lucia, Cecilia non ricordano solo purissime eroine del tempo dei Cesari, falciate dalla spada del carnefice come fiori divelti dalla bufera, ma aprono l’interminabile teoria oggi contraddistinta da Eva, Delia, Maggy
Anime tutte, cui il demonio sollecitava e la cui resistenza adamantina è una testimonianza inconfondibile della forza derivata dall’Eucaristia. Hanno mangiato il pane dei forti, hanno bevuto il vino che fa germinare i vergini.
Nè la vita presenta solo delle lotte da sostenere, ma vi sono anche dei sacrifizi da compiere e anche questi domandano della forza.
E per noi non vive lo stesso Dio nell’ostia? O quel pane ha perduto della sua efficacia ? Non lo posso credere per la contraddizione che nol consente Aruit cor meum quia oblitus sum
Che un fisico si afflosci non è mai per colpa immediata del cibo, sebbene o perché non si prende cibo, o perché il nostro apparato digerente è guasto. Quale profondo sconforto e quale triste constatazione: comunicarsi almeno di Pasqua. Una volta all’anno quando ogni istante si perdono calorie dell’amore a causa dei peccati veniali. Una volta all’anno quando si continua con la morte alle spalle.
B. La fonte delle dolcezze: non ha il fuoco tanta energia per consumare un corpo, nè il grave tanta celerità nel tendere al centro, nè le rapide cascate tanta impetuosità nel precipitarsi in mare, quanto ardore ha Gesù di comunicare le sue delizie alle anime ben disposte e riempirle d’ineffabili dolcezze.
Quel dolce invito lanciato un giorno sulle ali dei venti. “Venite ad me omnes” ha luogo principalmente in questo mistero e in esso si compie ogni giorno. L’Ostia santa campeggiante sugli altari parati a festa, portata in trionfo, strappa alle anime il senso della gioia tripudiante: bonum est nos hic esse! Perché essa è davvero il pane che compendia ogni delizia. Non gaudi dei sensi, non gioie corporali, che presto si eclissano; ma sono i veri gaudi, le vere gioie dello spirito.
Le rose colte nelle aiuole della terra hanno le loro spine; il nettare, che ci inebria nei conviti ha in fondo al calice la feccia; e mentre negli occhi rutilanti, nelle labbra irrequiete si delinea parossismo di letizia, l’anima langue.
Tale il gioire dei sensi. Serse che ne aveva gustati tanti li ebbe a ufo e propose un premio a chi avesse saputo inventarne uno nuovo (Cicerone Tusculane, V, cap. 2).
Domandate all’anima eucaristica se vi è diletto, se consolazione, se gaudio, se dolcezza che si desidera e in questo sacramento non si trovi. Il sole vibra i suoi raggi attraverso le vetrate della chiesa, i fiori diffondono la loro fragranza, i lumi si consumano sull’altare e l’anima si apre, si effonde, si eleva innanzi all’ostensorio.
C. Pegno di gloria: O Sacrum
Il santo Sacramento è così la catena misteriosa il cui primo anello è nel seno di Dio, l’ultimo nel cuore dell’uomo. Scende dal cielo sulla terra attirandovi vivo e vero l’uomo Dio sale dalla terra al cielo trasportandovi la pura creatura umana. E’ la sapienza dei Padri del Concilio Tridentino che ce ne dà garanzia: il nostro Salvatore nell’Eucaristia volle essere pegno della nostra gloria futura e dell’eterna felicità. Chi non sa che per arrivare prosperamente al posto felice dell’eternità beata, occorre mantenersi sempre in equilibrio…
Risurrezione: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue”.
Vita eterna: “Chi mangia la mia carne vivrà in eterno”.
Vita divina: Sicut misit me vivens Pater
La carne gloriosa del Cristo, unendosi alla nostra nella Comunione, la purifica, l’avviva di sè e ne suggella gli elementi che un dì richiamerà alla seconda vita.
E’ l’anima il soggetto proprio della grazia ed è l’anima che si disposa a Gesù nella Comunione; ma essa non deve concepirsi separata dal corpo. Gesù nutrendola della sua carne e del suo sangue la fa sì viva, sì ricolma, che quel che trabocca da essa investe anche gli elementi.
Per questo al nostro corpo si comunica il germe dell’immortalità, pur essendo mortale e gli si inocula l’alito della nuova vita, essendo già ghermito dalla morte…
Così l’Eucaristia adombra, anticipa, prepara le gioie dell’eternità, di cui è simbolo e germe:
simbolo:
germe: perché non potremo far parte del corpo glorioso del Cristo senza avere assimilata quaggiù la sua sostanza.
Lo so, anche coloro che mai gustarono di questo cibo risusciteranno. Ma quanta diversità fra questi e quanti in vita si assisero al banchetto eucaristico.
L’Eucaristia dà un nuovo diritto alla gloriosa risurrezione e mentre i primi risusciteranno in virtù del solo battesimo, i secondi per il battesimo e l’Eucaristia. E questo nuovo diritto al dire dei teologi è di tanta efficacia, che se per legge generale gli uomini non avessero a rinascere, in virtù di questo sacramento sarebbe assicurata ai mortali l’immortalità.
Questo felice rapporto dell’Ostia con l’eternità beata ha improntato talmente il linguaggio patristico, che ne rifluiscono spessissimo enfatiche e gioconde espressioni:
Cirillo Ger.: Cristo si dona alle nostre membra e a tutta la nostra consistenza
Giustino: il suo corpo fa sussistere il nostro stesso corpo
Ambrogio: “hic est cibus in quo vita definitur aeterna”.
Agostino: “Qui X manducat vivet in aet., quia X, qui vita est, manducat”.
Come si nasconde è la viva immagine di S.Cirillo un carbone nella paglia per conservarvi il fuoco, Gesù Cristo per mezzo delle sue carni nasconde in noi la vita e vi sparge un seme d’immortalità, cacciandone ogni corruzione. Sicché distribuite le sacre specie il sacerdote può augurare: corpus
Oh quanto sarebbe desiderabile che tutte le creature umane nascondessero nel petto questa vita.
Creature, che tendete a Dio aderite a Cristo. Fate di Cristo Eucaristia il vostro vivere e la vita vostra sarà sublime, il termine felice, glorioso, eterno.
In un chiostro ai piedi d’una modesta meridiana, si legge questa epigrafe: solo il sole mi dà vita. Quando tutti potremo affermare che soltanto Gesù, sole Eucaristico ci dà vita, avremo mirabilmente percorsa la nostra via, raggiunto il porto dell’eternità beata al grido enfatico: Uni, trinoque
E questa certezza la auspichiamo da te, o Grande vivente nell’immobilità d’un’Ostia. Nella fortezza di questo pane percorreremo lo spinoso sentiero, sostenuti da te ci batteremo nel duro corpo a corpo della vita quotidiana, da te confortati guarderemo sorridenti in faccia a sorella morte, e nel tuo bacio eucaristico reclineremo il capo, chiuderemo gli occhi per riaprirli nella contemplazione delle tue fattezze svelate nel gaudio dei cieli: Jesu, quem
III Alimento di carità
Piegata la fronte innanzi ai fulgori che s’irradiano dal mistero eucaristico, è la volta del cuore nel captare le calde emanazioni diffuse dall’augusta presenza del Cristo nell’Ostia.
Fu scritto da una moderna penna francese che il mondo senza l’Eucaristia sarebbe vuoto, il cuore dell’uomo freddo, la Chiesa mesta. Verissimo, ma Dio che lo previde non lo volle attuare epperò istituì il massimo dei sacramenti, che come espressione suprema d’amore fu detto sacramento d’amore, sicché Tommaso d’Aquino poteva scrivere:
Eucharistia est sacramentum expressivum caritatis Jesu et effectivum caritatis nostrae.
“Deus charitas est!” S.Giovanni ha definito in un certo senso quando ha scritto così. Se tutti gli attributi di Dio sono costitutivi della Sua essenza, l’amore li compendia tutti, come il bianco fonde in uno i sette colori dell’iride.
La creazione è fragrante di amore, d’amore è impregnata la redenzione. Singolare che l’uomo creato dalla bontà di Dio veda fiorire come una promessa confortante l’amore accanto alla maledizione. Dopo il peccato e dal peccato la morte; ma Dio che punisce vuol far quasi dimenticare la punizione, promettendo un innesto che sarebbe maturato al tepore della sua carità con la venuta del Cristo nella pienezza dei tempi.
E viene il Cristo nella cruda notte decembrina, passa “benefaciendo et sanando omnes” e in un crescendo continuo di amore, cum dilexisset suos in finem dilexit eos
E il suo testamento fu il sacramento dell’amore, in cui perpetuò la sua permanenza tra gli uomini. Un pane era sulla mensa, un pane, alimento comune a tutti gli uomini; una coppa traboccava di rosso vino, di vino generoso come la carità.
Leva gli occhi al cielo, benedice quegli elementi, le sue labbra pronunziano parole mai udite, la natura morta si vivifica sotto il soffio dell’Onnipotente: “Questo è il mio corpo questo è il mio sangue”. Il miracolo è compiuto.
Dall’alba radiosa del Cristianesimo al lontano tramonto dei tempi sul quadrante dell’eterno, dal Cenacolo a quest’altare mettete insieme un altro pane, un altro calice, un altro C. e la risultante sarà identica. Quel pane e quel vino costituiranno la prova sensibile dell’amore di Gesù per noi, saranno l’esca che in noi accederà vampate di fuoco.
A. Sacramentum expressivum caritatis Jesu:
Asserire che Dio ama le sue creature, le governa e dirige tutte al proprio fine con sapienza, bontà, giustizia infinite è quanto enunciare un principio apodittico, avallato dalla parola dell’Apostolo: sic Deus dilexit
Asserire che Gesù nell’Incarnazione ha dato prova inconfutabile d’amore per gli uomini suoi fratelli vale tradurre in parole il pensiero paolino: dilexit me et tradidit
Quest’amore di Gesù nell’Eucaristia tocca il suo vertice e a ben considerarla l’Eucaristia è indice dell’amore più generoso, più forte, più duraturo.
1. Più generoso: la filosofia ha fissato nei riguardi dell’amore un principio, che ne è come la nota caratteristica, il criterio di credibilità: bonum est diffusivum sui. Amare vale quanto donare e donarsi, e quando nei rapporti di amicizia c’è l’interesse, se ne è falsato il concetto.
E quanto più si comunica, tanto più grande è il dono e nella veemenza dell’affetto vorrebbe donare noi stessi, perché l’omaggio fosse più totale e più nobile.
Anime, nel cui cuore alberga un forte sentimento verso una persona amata, non vorreste voi nell’espressione tangibile di questo affetto immedesimarvi con lei. Quante volte nei trasporti dell’amore umano si vorrebbe mangiare, divorare, strappare con i denti la persona amata per maggiormente incorporarsi con lei. Impossibile! Ma ciò che è pazzia, furore impetuoso, desiderio vano nell’amore degli uomini, non sarà impossibile all’amore di Dio.
Più che un mistero della divina onnipotenza, perché colui che ha fatto dal nulla tutte le cose può anche cambiare la sostanza dell’una in quella dell’altra, l’Eucaristia è un mistero del divino amore.
Non già, cioè, che noi non riusciamo a comprendere come ciò che era pane diventi corpo, e ciò ch’era vino diventi sangue: nulla è impossibile a Dio; ma come mai Dio poteva esaurire la sua infinità nell’ostia e nel calice. Sicché l’aquila dei dottori, levandosi a voli vertiginosi nella contemplazione del mistero eucaristico, scriveva: Dio essendo infinitamente saggio, non seppe che fare di più: eppure Lui aveva fissato le leggi dell’universo intero; essendo infinitamente potente, non potè far di più: eppure Lui aveva creato dal nulla tutte le cose; essendo infinitamente ricco, non ebbe che dare di più: eppure Lui aveva seminato di stelle i padiglioni dei cieli.
Guardò le opere della sua sapienza, della sua potenza, della sua ricchezza e nulla trovò degno dell’uomo. Portò lo sguardo su se stesso ed esaurì se stesso.
2. Più forte: e la generosità determina la fortezza nell’amore, per cui esso diventa invincibile come la morte: fortis ut mors dilectio. E come la generosità ispira il completo donarsi così la fortezza determina al dono senza badare alle difficoltà, alle umiliazioni, all’annullamento che impone.
Volontariamente Gesù…
Tutto questo sarebbe sembrato indegno della maestà, della sapienza, della gloria di Colui che i cieli non riescono a contenere, e davanti al quale coprono con le ali il loro viso i serafini.
Ma omnia vincit amor! Una pia leggenda racconta che mentre Gesù sedeva a tavola nel Cenacolo, due angeli gli erano a fianco e intuendo con la vivacità della loro intelligenza quanto Gesù stava per compiere, istituendo l’Eucaristia…
E così sopra ogni altare da 20 secoli si ripete l’espressione sensibile ed incruenta dell’immolazione interiore di Gesù, espressa in modo cruento sulla Croce. Il suo ministro pronuncia sopra una pisside ricolma, traboccante, le parole taumaturghe e d’ogni frammento di quel pane candido e profumato prende possesso Gesù: un fremito di vita divina aleggia sulle specie e le trasforma nel corpo.? Quante ostie consacrate nel mondo. Ed ogni ostia aspetta un’anima, tante anime; tante ostie…
Ed ogni ostia è una riserva inesauribile di grazie, di doni, di aiuti, di entusiasmi, di conforti, di protezione, di eroismo; e ogni anima ne riceve con profusione incredibile secondo le sue disposizioni, quante volte vuole, senza che l’amore del Cristo riceva strappi per la consuetudine o l’abuso.
3. Più duraturo: e nonostante la generosità e la fortezza, l’ amore si eclissa. L’amore ha il suo tragico nella separazione e nella coscienza del proprio nulla pur si vorrebbe legare alla persona amata oltre i limiti del tempo.
Fino alla morte, puoi giurarlo pure alla tua diletta; ma oltre la morte solo Dio poteva dirlo: hoc facite in meam commemorat
Ricalcate, o fratelli, attraverso 19 secoli di storia le orme dell’Amore e vi convincerete della sua potenza; puntate lo sguardo sino all’orizzonte estremo dei secoli e vi accorgerete della sua indefettibilità.
Pensate! Ogni giorno 300 mila Messe celebrate sotto tutti i meridiani, a qualunque altitudine: ab ortu solis usque ad occasum. Anni or sono, nel B., a 700 m. di profondità entro un pozzo minerario; più tardi nello scafo d’un sottomarino, nel porto di Taranto; poi ancora nella cabina d’un dirigibile in rotta per l’America; recentemente, durante l’immane conflitto, tra le dune infuocate del deserto o tra le gelide steppe russe, vicino al polo, mentre infuria implacabile la bufera, nelle zone più torride, ove dardeggia cocente il sole equatoriale, semper et ubique è lo stesso mistero d’amore, che riconduce senza tregua sopra l’umanità colpevole e dolorante i perdoni di Dio, le effusioni ineffabili d’un amore senza confini.
Pro vobis et pro multis.
Senza distinzione di classi.
E’ Gesù che si reca a visitare le anime afflitte e sofferenti, i corpi laceri e insanguinati e sopra tutte le piaghe, sopra gli strazi d’ogni genere, sopra chiunque geme ed implora, Egli si china premuroso e benedicente, mescolando alle agonie umane il sorriso divino.
Sarà il missionario che sfida le belve, per recare l’estremo bacio d’un Dio a chi sta per abbandonare la terra; sarà il prete travestito che reca furtivamente a chi muore il viatico, eludendo la vigilanza delle sette. E così sino alla consumazione dei secoli: dopo aver divinizzato tanti cuori, ce ne sarà ancora per tutte le generazioni avvenire.
L’ultimo sacerdote consacrerà l’ultimo pane, l’ultimo degli eletti consumerà l’ultima ostia e poi Colui che s’era fatto viatico dei pellegrini, scomparirà dalla terra, ridivenuto nutrimento degli Angeli.
Omnia vincit amor et nos cedamus amori!
B. Sacramentum effectivum caritatis nostrae.
L’amore infinito d’un Dio dunque è la ragion d’essere del sacramento dell’altare.
E l’amore sarà l’effetto di tanta causa. E proprio perché la nostra religione è religione che ci vincola a Dio non con i legami del timore, che s’addicono ai servi, ma con quelli d’amore, quali convengono ai figli, l’Eucaristia è il fuoco centrale del Cristianesimo e da essa promana una calda unità di cuori, alla cui origine altre fedi non sanno risalire, perché si son troppo discostate dalla sorgente.
Là nel Cenacolo, dove si agitava nella prima offerta, nella prima consacrazione, nella prima comunione, il desiderio di un Dio che fa sua delizia starsene con i figli degli uomini, Gesù dovette sentire dolcissimo, nella coscienza del vicino tradimento di Giuda, il tributo d’adorazione dei secoli avvenire, che stringeva intorno a Lui un nodo inscindibile di devozione e di lode.
Ma quello che dovette sentir maggiormente fu certo la sete angosciosa di esseri riarsi dalla febbre delle passioni, e si fece bevanda; la fame insaziata delle turbe, che già avevano commosso il suo cuore sino allo spasimo, e si cambiò in cibo; la debolezza di povere creature straziate da continue lotte e divenne tonico possente; la visione di martiri e di eroi bisognosi di un pane quotidiano per non venir meno ai propositi che costano sangue, e si fece viatico.
Sic nos amantem quis non redamaret! Cuore cerca cuore; amore domanda amore! Ed è questo che per ripagare Cristo del suo folle amore tutto vien messo in opera dalla Chiesa e dai fedeli: impegnate le forze della Chiesa docente nei diversi gradi gerarchici, e della discente nelle varie condizioni sociali.
Sono successori di Pietro che magnificano questo culto
Sono vescovi e pastori di anime che lo propagano
Sono teologi ed oratori che ne dimostrano la nobiltà, ne provano la necessità
Sono prìncipi e popoli, sacerdoti e fedeli, che in mille guise differenti, concorrono al trionfo strepitoso di questa regina delle forme cultuali cattoliche
E’ tutta una vasta orditura di opere, d’istituzioni, d’imprese compiute per rendere meglio stabile e più glorioso il culto dell’Eucaristia, per manifestare l’umana gratitudine.
Uno sguardo alle produzioni artistiche in omaggio alla SS.Eucaristia. Vediamo la terra aprirsi e dai fianchi tormentati mandare in alto maestose basiliche, marmorei templi, per dimora di Gesù Sacramento; per proteggerlo di un’ombra maestosa si son lanciate al cielo granitiche colonne intrecciate a volte e archi eleganti. Per festeggiare la sua presenza splendono i lumi, appassiscono i fiori. In ogni parte del tempio sacro palpita un movimento amoroso del cuore umano, in ogni angelo alita il fervore della vita della fede, in ogni oggetto sacro è impresso l’ardore alato di un culto, che quando è diretto alla SS.Eucaristia non conosce confini e diviene semplicemente insuperabile.
E non ho accennato che alla parte sensibile dell’amore acceso dall’Eucaristia nel cuore dei fedeli, che se dovessi scendere nelle intime fibre delle anime.
Quando il pellicano dopo aver scandagliato le sponde in cerca d’un verme o un insetto se ne torna stanco tra le ombre dei canneti dove s’annida la famigliola, i piccoli gli corrono incontro con pigolii di festa, nella gioiosa previsione di essere imbeccati. Delusi nell’aspettativa, si spegne l’entusiasmo si affloscia il volo. Un affanno mortale, allora, viene al cuore del pellicano, si solleva sulle zampe, allarga le ali al vento, e in un urlo selvaggio si colpisce col duro becco il cuore, facendone scaturire a fiotti il sangue. Raccoglie poi sotto le ali i piccoli, li abbevera del suo sangue, finchè muore estenuato, svenato, vittima del suo eroico amore. L’allegoria è evidente, o fratelli.
Il vero, il pio pellicano è Gesù, che ci nutre col suo sangue.
Dilexit et tradit, ebbene diligam et tradar: lo amerò e gli consegnerò tutto me stesso, in giuridica parità per la totalità del dono.
Adoro Te devote: Tibi se cor meum totum subicit Fac me tibi semper magis credere. L’omaggio dell’intelligenza umana è qualcosa, perché essa è limitata; ma l’omaggio del cuore è tutto, perché racchiude la vita stessa dell’uomo. Gradisce l’una e l’altro e all’una e all’altro sia ambita ricompensa vivere su questa terra di una ardente fede, d’una speranza viva, un amore
Fac me tibi semper magis credere
in te spem habere, te diligere.
IV Alimento di vita
Tutti e durante tutta la vita abbiamo bisogno di cibo per conservare, accrescere, riparare la nostra attività. E questa è una esigenza per qualsiasi forma di vita si esplichi nel nostro essere.
La vita fisiologica ci porta ogni giorno a rimpiazzare le calorie consunte dal dinamismo organico mediante la nutrizione.
La vita spirituale, nella sua duplice estrinsecazione di intelletto e di volontà, ha un cibo nel vero e nel buono, rispettivamente oggetto adeguato dell’una e dell’altra potenza dell’anima.
Ma noi cristiani, secondo l’alto pensiero dell’aquila di Ippona, non siamo solo formati di materia e di spirito, come qualsiasi altro essere umano, ma entra in composizione un terzo elemento: la grazia. In noi cristiani, cioè, il giorno del battesimo s’accende mediante la rinascita nell’acqua e nello Spirito Santo una vita divina, partecipe della stessa vita della SS.Trinità, per cui abbiamo agio ut filii Dei nominemur et sumus; e questa vita è destinata a crescere fino all’unione eterna con Dio in cielo.
Ebbene questa vita divina, appunto perché partecipata, abbisogna ancor essa di cibo, di viatico, che se è ordinato principalmente alla vita nostra soprannaturale, per logica ridondanza giova a rischiarare l’intelletto, rafforzare la volontà, temperare le passioni; sicché niente nuoccia, niente osti ma piuttosto tutto serva alle sublimi elevazioni della grazia e della vita divina.
E quale è questo viatico? E’ là, bianco e profumato come un pane, posto su un altare chiamato più precisamente “mensa”.
E là il vero lignum vitae, di cui quello che vigoreggiava nell’Eden, non era che una scialba immagine, trapiantato da Dio nel cuore della sua Chiesa, e il cui frutto ci fa diventare sicut Dii: qui manducat meam carnem et bibit meum sanguinem in me manet et ego in illo; qui manducat me et ipse vivet propter me
E’ là l’autentica manna, simboleggiata da quella che nutrì gli Ebrei nel pellegrinaggio dall’esilio alla patria, e che con tanto ardore invocava Dante: “Dà oggi a noi” (Purg. XI, 19).
E’ là il pane degli Angeli fatto cibo degli uomini, di cui scriveva con penna intinta nel cuore il cantore dell’Eucaristia: Ecce panis
In quell’ostia ha un viatico il cristiano come essere singolo, come ingrediente d’una famiglia, come membro d’una società, perché esso alimenta la sua vita individuale, familiare, sociale, i tre cerchi concentrici in cui è racchiusa l’esistenza umana.
A. Vita individuale:
“L’Eucaristia è il sacramento per nutrimento delle anime”. L’aveva detto esplicitamente Gesù: ego sum panis vitae.
E la Chiesa, come maestra infallibile, ne ha avallato l’espressione e dimostrato il contenuto. A giudicarla col suo pensiero bisogna ritenere che quello appunto che opera il pane per la nostra vita naturale, opera l’Eucaristia per la nostra vita soprannaturale.
E come gli effetti del pane si riducono ad un’energia di conservazione, di rinvigorimento, di rifacimento e di dilettazione, così ancora l’Eucaristia influisce sulla vita spirituale sustentando e reparando; augendo e delectando
1. Questo pane soprasostanziale mantiene intatto l’alito della vita cristiana sustentando con quel numero di grazie, che l’Eucaristia porta con sè non solo per poter schivare le colpe, m’anche per l’esercizio della virtù: Patres vestri manducaverunt manna et mortui sunt!
Virtù propria di questo pane angelico è di non farci incorrere nella morte del peccato. Similmente esso infonde virtù per l’esercizio della vita cristiana, che è vita di fede, di speranza, di carità.
E se in precedenti lotte con l’antico avversario si son riportate delle ferite, l’Eucaristia reparando, ci rimette le colpe veniali e defalca dalla pena temporale. A quel modo che il nutrimento materno sostituisce quel che si perde ad ogni istante nelle calde emanazioni di cui il nostro organismo ha bisogno per vivere, così l’alimento eucaristico tien luogo di quel che in tutte le nostre colpe leggere si perde del fuoco divino della carità.
Iste panis quotidianus sumitur in remedium quotidianae infirmitatis.
Antitodo, mercé cui siamo liberati dalle colpe veniali e preservati dalle mortali.
2. Ma virtù ancor più eletta di questa è da riconoscersi nella S.Eucaristia che frutta l’aumento della vita cristiana.
Augendo: Gesù spiegò chiaro il motivo della sua comparsa in mezzo a noi. Ego veni ut vitam habeant et abundantius.
Come può infonderci questo abbondante rigoglio di vita: Cibus sum grandium, cresce et manducabis me. Nec tu me in te mutabis sicut cibum carnis tuae, sed tu mutaberis in me Vivo ego iam non ego. Quale pienezza e preziosità di vita. Vedete quel che accade in natura sotto l’azione del sole, il cui vivifico calore inonda e penetra tutto ciò che vive. Le piante hanno ricevuto la vita dal loro germe, e ciascuna delle loro fibre si nutre del succo; ma come questo succo, mosso dal raggio di sole, maggiormente s’avviva e diviene più operoso; come si affretta, come schizza e fa ingrossare le gemme, svolgere le foglie, schiudere i fiori, maturare i frutti. Da un giorno all’altro, quali mutamenti.
E’ tuttavia piccola meraviglia in confronto dei prodigi che opera sulle anime il disco eucaristico. Gli altri sacramenti ci diedero abiti santi e sublimi virtù; questo s’impadronisce di noi, ci riscalda, ci avviva, ci vuole perfetti. Germogliate, crescete, fiorite, fruttificate piante divine, charitas Christi urget nos! E così che nella S.Eucaristia non solo si assomma tutta la religione, ma si riepiloga ogni legge di perfezione capace di condurre a Dio.
E raggiunto Dio chi può ripetere le gioie spirituali che ne derivano?
Delectando, ecco l’ultimo effetto; ma non è materia che può essere spiegata a parole, non è verità che va dimostrata con argomenti. E’ qualcosa che intender non la può chi non la prova. Ed allora: gustate et videte quam suavis est Deus.
E questo rigoglio di vita e questa gioia di cielo sarà anche vostra, come lo è stata e lo è per tante anime; per le quali è l’accostamento dantesco: “quali colombe”.
La fame di Dio ha tormentato le anime grandi e se dinanzi alle meraviglie operate durante la loro vita si grida all’eccezione, si comprendono i santi a metà.
Il segreto è lì: umile, grezzo, disadorno, prezioso, artistico, marmoreo, ogni ictus di forza s’intona dal Tabernacolo. Come il sole allarga i suoi raggi e nelle cose accende una gioia di luce, nella tepida voluttà del suo infinito pulviscolo d’oro, così l’Eucaristia dispensa vita e calore a quanti non si sottraggono all’ azione dei suoi raggi. Gesù la sapeva questa festa d’amore, la voleva questa convergenza di palpiti e sempre nel corso della storia avvinse a sè con irresistibile forza centripeta le anime avide d’un affetto forte quanto eterno, vero quanto divino, reale quanto purissimo: M. e G. aprirono la serie, e dietro di loro tiare e corone, infule e stole, martiri e confessori, vergini e penitenti, uomini delle arti e delle scienze, delle lettere e delle armi, altrettanti capolavori del suo amore, meraviglie del suo genio, davanti a cui si ripetono attoniti le parole che furono già del Montalembert: ma chi è questo amante divino?
Anima che ti arrovelli nella conquista d’un ideale, che ti fiacchi nel duro corpo a corpo della vita quotidiana, che invochi la morte come il sollievo di tutti i mali, che guardi alla vita come a un capestro, a Dio come a un carnefice, lascia che ti domandi: perchè non sali il dilettoso monte
B. Vita familiare:
E ancora nel focolare domestico il Cristo Eucaristico fa sentire i benefici effetti. Guardatele ai piedi dell’altare quelle due anime gemelle, che giurano “sì” innanzi alla luna di miele e alla tazza di fiele, al dolce e all’amaro derivato dal matrimonio. E scende nei loro petti il Cristo mediante la comunione a renderli adamantini, tetragoni ai colpi di fortuna, perchè quell’amore abbia sempre il profumo dell’alba e non conosca il grigiore del tramonto. E come è simbolico il ritorno degli sposi cristiani a quell’altare che fu testimone muto del loro giuramento; e ci tornano ad attingere la forza necessaria per adempiere alla loro alta missione.
E quando i frutti di quell’amore santo, i figli han raggiunto l’uso di ragione che festa in famiglia per il primo bacio della loro innocenza con l’amico dei bimbi. Quante premure ha mamma nell’adornare come angioletti i suoi figli; e l’austero papà, che forse insieme alle mani ha lasciato incallire anche il cuore nella materialità della vita, riceve una scossa, asciuga una lagrima furtiva e dopo anni forse mangia di quel pane.
A un moderno romanziere, R. Bazin, è sfuggita una frase ch’io vorrei cancellare. La famiglia oggi è diventata una bolgia infernale, in cui i figli si ribellano ai genitori, e questi maledicono al frutto del loro amore.
Vorrei non sottoscriverla, almeno come linea di massima. Domando però perché realmente non tutte le famiglie sono un nido d’amore, una scuola di virtù, un’officina di lavoro, una palestra di dolore come lo fu la famiglia nazarena? La risposta potrebbe leggersi nell’assenza di Gesù. Una volta all’anno e forse neppure. Ed allora che meraviglia se l’istituto familiare si sfascia come un fondale da palcoscenico.
C. Vita sociale:
E la famiglia è cellula della società: l’individuo, che ha il suo perfezionamento nel focolare domestico, si completa nella collettività con i suoi simili.
Ora quando diciamo che l’Eucaristia contiene per nutrimento delle anime, non abbiamo ancor data una definizione assoluta. Anzi corriamo rischio di sminuirne il significato, se non si aggiunge che l’Eucaristia è la ricapitolazione, la fusione sempre più attiva e sempre più penetrante di tutta la Chiesa e di tutta l’umanità col Cristo, e per mezzo del Cristo, in Dio.
Nel pensiero di un buon numero di cattolici l’Eucaristia è un sacramento che unisce ogni fedele a Cristo. Ma sono pochi coloro che riflettono al fatto che l’Eucaristia è anche un sacramento chiamato ad unire i fedeli tra loro.
Nella Chiesa primitiva dominava questo secondo punto di vista: cfr. Atti.
E il primo catechismo, la Didachè: che i fedeli dispersi nel mondo, siano raccolti nell’unità per mezzo della virtù del celeste alimento, come i chicchi e gli acini.
Nell’ostia i primi cristiani vedevano meno un modo di comunicare personalmente col Cristo, che un modo universale di unirsi fra loro. Lo erano già, perché: una fides; si stringono di più, perché unum corpus sumus uno pane participamus Non est Grecus.
Ed in che modo l’Eucaristia è un vincolo sociale?
Insegnando l’uguaglianza sociale, comandando la carità fraterna.
1. Ciò che contribuisce maggiormente ad impedire agli uomini di rimanere uniti è che ciascuno, conscio di qualche superiorità, se ne vanta per dominare i suoi fratelli.
Il mondo è in preda all’orgoglio.
Tutte le ineguaglianze convenzionali di questo mondo svaniscono innanzi alla reale e comune grandezza dei cristiani nutriti della carne di Cristo.
Osservate il simbolismo di ciò che avviene al momento della Comunione: in profonda coscienza d’indegnità si raccolgono davanti alla balaustra.
2. La Comunione non è solo un elemento di pacificazione, ma produce qualcosa di più, comanda la carità. Ricordate il monito di Gesù nel Vangelo: se stai per accostarti all’altare
E S.Paolo commentava: prima di tutto, se volete partecipare all’Eucaristia non vi siano discordie tra voi. Per cui penso una delle ragioni più misteriose forse più efficace, che spinse Gesù Cristo a istituire l’Eucaristia è certamente la sua formale volontà di cementare l’unione tra noi.
Di unione fraterna parla l’Eucaristia alla freneticante società nostra, che va scavando abissi, seminando rancori, sognando vendette.
Con quella stessa penna, con cui aveva scritto i poderosi trattati di economia sociale, G.Toniolo redigeva un libriccino di poche pagine: L’Eucaristia e la Società. Ed in esse il noto sociologo cristiano scriveva: “Non vi ha possibilità di alcun profondo e duraturo risorgere di civiltà senza tre indispensabili presidi: “Questa triplice condizione rimane assegnata ed imposta alla cristianità, da quel giorno in cui il primo e decisivo trapasso dalle tenebre del Paganesimo alla luce rinnovatrice del Vangelo aveva richiesto la sap., la car., l’imm. d’un Dio…
Grandi idee: l’età moderna geme schiacciata sotto il pondo della materia; nè solo per triste influsso delle dottrine materialistiche, m’ancora per il parossismo di materiali cupidigie, che comprime ogni slancio d’idea.
Vigorosi affetti: la società moderna agonizza nell’egoismo che assidera e nell’odio che avvelena. E qui nel petto di Gesù attingiamo l’amore puro, l’amore operoso che riscalda, rifeconda, ricostruisce la nov. societ. con giustizia e carità.
Eroici sacrifici: la civiltà moderna, travolta dallo spirito di distruzione, s’appronta a tutto sacrificare: libertà e proprietà, ricchezza e classi, perché con esse scompaia questa odiata civiltà umana. E da Gesù che ogni giorno s’immola sugli altari, impariamo a sacrificarci fino alla morte, perché la civiltà risorga a vita divina.
O sacramentum pietatis! O signum unitatis! O vinculum charitatis!
Qui vult vivere habet unde vivat
O salutaris hostia Bella premunt: il nemico ci tallona Da robur
Fissando la pupilla sui veli eucaristici, simbolo di visione eterna nei cieli, pegno di progressive conquiste sulla terra, riaccendiamo la fede fulgida ed inconcussa nei sublimi destini della civiltà e nella infallibile risurrezione, di cui oggi salutiamo fidenti gli albori.