La parola della preghiera e il pane della vita

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La vita divina partecipataci nel Battesimo è solo in misura inizia le : un semplic e abbozzo che dovrà svilupparsi. Ogni vita è progressiva per natura, e ogni crescita suppone nuove energie succedanee di quelle che il dinamismo logora e disperde; e come ogni altra vita, anche la vita interiore abbisogna di alimenti che ne sostengano le forze, ne riparino le perdite e diano quel senso di benessere che è necessario per il conveniente esercizio della propria attività.
La preghiera dà ali all’anima, librandola in più spirabil aere; dell’Eucaristia Gesù disse “qui manducat me et ipse vivet propter me“: aria e cibo i due ingredienti che garantiscono il completo rigoglio della nostra spiritualità.
A. La preghiera:
un’elevazione dell’anima a Dio per rendergli i nostri doveri e chiedergli le grazie necessarie a divenire migliori per la sua gloria. “Elevazione” sta ad indicare lo sforzo per sottrarci a quanto ci circonda e polarizzare noi stessi in Dio. A contatto con Dio ne riconosciamo in primo luogo la maestà, adorandolo; e solo in seguito esponiamo i nostri desiderata, condizionandoli alla Sua gloria. Secondo le facoltà che più spiccata in essa esercitano la loro azione, la preghiera si suddivide:
1. Vocale: è la preghiera in cui, oltre al lavoro e all’attenzione dello spirito, si aggiunge anche il suono della voce, quasi a maggiore espressione dei sentimenti dell’animo. Essa suppone ed esige di necessità assoluta anche il concorso delle potenze interne. Non vi è orazione quando vi è solamente movimento di labbra e S.Paolo ci esorta “Per ipsum offeramus” Eb. XIII, 15.
Essendo, inoltre, l’orazione vocale essenzialmente esterna, richiede un atteggiamento del corpo riverente e supplice, proprio come il suddito innanzi al sovrano.
2. Mentale: il suo nome più proprio sarebbe veramente di orazione interiore, perché in essa hanno parte tutte le potenze interne e non la sola mente ed in genere ogni elevazione dello spirito merita questo aggettivo. Ne restringiamo il significato alla meditazione: un’elevazione è un’applicazione dell’anima a Dio per porgergli i nostri doveri e diventare migliori alla Sua gloria.
Si risolve, quindi, in cinque elementi principali: i doveri di religione; le considerazioni; le riflessioni su noi stessi; la preghiera; la risoluzione.
a. Fedeltà alla meditazione: il tempo fissato nel regolamento di vita, per la meditazione è intangibile. Non posso prevedere alcuna ragione valida per ometterla. Fedeltà assoluta nell’aridità e nel tedio, nella luce e nell’oscurità.
b. Vita di orazione: darà il tono “per lo spirito” sì da rimanere in un certo raccoglimento che non deve essere turbato dagli studi o dalle occupazioni quotidiane; “per la volontà”, cercando in tutto il divin beneplacito, abbandonandosi ai movimenti della grazia, accettando pene e prove; “per il cuore” col rivivere gli affetti del mattino, rinnovarli o svilupparli.
Tutta la vita si eleva allora al grado di calore dell’orazione; di qui la preghiera.
3. Vissuta: “Oportet sempre orare et non deficere“, aveva detto Gesù.
Sine intermissione orate“, aveva commentato S.Paolo.
Ma come si può continuamente pregare e attendere nello stesso tempo ai doveri del proprio stato? Non c’è difficoltà; quando si sappia ben ordinare la vita: “Tandiu homo orat, quamdiu totam vitam suam in Deum ordinat“, S.Tommaso.
Per riuscirvi bisogna:
Praticare gli esercizi di pietà secondo il proprio stato: cfr. quanto s’è detto nel regolamento di vita.
Trasformare in preghiera le azioni comuni: indirizzandole a Dio e compiendole perché tale è la volontà di Dio.
Ciò che forma la parte essenziale di questa orazione abituale è il sentimento dell’ amore che tiene il cuore rivolto a Dio.
Per esso la preghiera più che un atto, diventa uno stato abituale dell’anima, che, passato quasi in seconda natura, non cade sotto la riflessione.
Chi si accorge di respirare? Chi avverte il palpito del proprio muscolo cardiaco, il battito del polso?
Ambula coram me et esto perfectus! “. L’avviso di Dio ad Abramo è fondamentale nella preghiera vissuta. Non conviene sforzarsi per produrre molteplici atti o eccitarsi a diversi sentimenti, ma stare semplicemente attento alla presenza di Dio…
La vita è in proporzione alla quantità di ossigeno che si aspira e aspiriamo senza metterci attenzione e intenzione: la mia vita vale quanto vale la mia preghiera.
B. Panis, Vitae: l’Eucaristia.
Fuoco centrale del Cristianesimo nell’Eucaristia e dall’Eucaristia tutta la vita cristiana si colora; e ne promana, con perenne freschezza, una somma di energie e una calda unità di cuori, alla cui origine altre fedi non sanno risalire, perché si son di troppo discostate dalla Fonte.
Il segreto è lì. Umile grezzo primitivo, prezioso adorno artistico, ogni ictus di forza s’intona nel Tabernacolo, ogni pathos di eroismo.
Come il sole che allarga i suoi raggi e nelle cose accende una gioia di luce nella tepida voluttà del suo infinito pulviscolo d’oro, l’Eucaristia dispensa vita e calore.
Gesù la sapeva tale festa di Amore, la voleva questa convergenza di palpiti e per cogliere questo profumo di cuori, restò. Là nel Cenacolo, dove s’agitava nella prima consacrazione, nella prima offerta, nella prima Comunione, il desiderio eterno e infinito di un Dio che fa sua delizia l’abitare con i figli dell’uomo, Cristo Gesù dovette sentire dolcissimo nella coscienza del vicino tradimento il tributo d’adorazione dei secoli avvenire che stringeva attorno a Lui un nodo inscindibile di devozione e di lode.
Ma quello che dovette sentire maggiormente fu certo la sete angosciosa di esseri arsi, la fame insaziata delle turbe; fu la debolezza di povere creature dilaniate dalle passioni; fu la visione di eroi e di martiri bisognosi di un cibo quotidiano per non venir meno nei propositi che costano sangue.
1. Il vital nutrimento: “L’Eucaristia è il sacramento per nutrimento delle anime”. E’ la parafrasi del pensiero stesso di Gesù.
Questo pane soprasostanziale mantiene intatto l’alito della vita cristiana:
sustentando, con le mille grazie di cui ci è garanzia la venuta in noi della causa efficiente e meritoria della stessa grazia;
reparando, quelle forze che andiamo continuamente logorando nella lotta senza quartiere con l’antico avversario; rimpiazzando quelle calorie che andiamo perdendo con le colpe veniali, di cui è seminato il nostro cammino. Iste panis quotidianus sumitur in remedium quotidianae infirmitatis.
Questo pane soprasostanziale incrementa lo sviluppo della vita cristiana:
augendo, perché il Cristo è venuto per donarci la vita e in abbondanza.
Come sotto l’azione calorifera del sole, il succo schizza le gemme, svolge le foglie, schiude i fiori, matura i frutti, in modo ancor più prodigioso l’Eucaristia avviva le anime, portandole a una pienezza di vita divina;
delectando, e questo è un effetto che sfugge alla penna, perché intender non lo può chi non lo prova. Per cui non rimane che accogliere l’invito del salmo: “gustate et videte quam suavis est Dominus“.
La fame di Dio ha tormentato sempre le anime grandi e se dinanzi alle meraviglie operate nella loro vita si grida all’eccezione, si comprendono i Santi a metà. Quando Satana tentava il primo agguato, azzardò una prima menzogna: sarete come dei. La felice colpa del progenitore dava luogo all’Incarnazione e quindi alla nostra riabilitazione.
Per l’Eucaristia il dono dell’Incarnazione non si compirà più nella Palestina, ma nella carne e nel sangue di ogni uomo che non avesse rifiutato di offrire al Verbo un posto nel cuore. E così Gesù è con noi. Il pensiero e la certezza che illumina ogni giorno cristiano. Sotto la bianca Ostia, si perpetua nei secoli: pane quotidiano che impingua e ingrassa, fermento e lievito di giovinezza e di santità. Quante ostie consacrate in una chiesa e ogni ostia attende un’ anima, tante ostie tante anime.
2. L’efficacia di un pane:
in uno stato di morte mistica Gesù giace sui nostri altari, in una forma d’impotenza apparente, per essere la nostra onnipotenza reale.
S.Agostino affermerà: sono il cibo dei grandi: cresci e mi mangerai (Conf. VII, X) e la dottrina della Chiesa sarà precisa a riguardo, sull’insegnamento di S.Giovanni: Gesù si unisce a noi per trasformarci in Lui; quest’unione è insieme fisica e morale, trasformante e permanente.
a. Fisica: è di fede che l’Eucaristia contiene vere, realiter, substantialiter Cristo Gesù. Sicché quando facciamo la comunione sacramentale, riceviamo Gesù in persona, quale nacque dalla Madonna, come regna glorioso in cielo.
E’ un’unione che tende a rendere la nostra carne più sottomessa allo spirito e più casta e depone in lei un germe d’immortalità.
b. Spirituale: l’anima di Gesù aderisce alla nostra per non fare con lei che un cuor solo e un’anima sola. La sua immaginazione e la sua memoria così ben regolate s’uniscono alle nostre per disciplinarle e orientarle; la sua intelligenza illumina la mente con gli splendori della fede: tocchiamo allora con mano la grandezza di Dio e il nul la di quanto ci circonda. La sua volontà viene a sorreggere le nostre debolezze, comunicandoci le divine sue energie. Ci pare allora che gli sforzi non ci costeranno più, che le tentazioni ci troveranno più incrollabili, che la perseveranza nel bene non ci spaventi più, perché non siamo più soli, ma aderiamo a Cristo come l’edera alla quercia.
Il suo cuore viene a infiammare il nostro così freddo per Dio. Come i discepoli di Emmaus sentiremo accanto a lui “nonne cor nostrum ardens erat?“; e proveremo slanci irresistibili verso il bene.
c. Trasformatrice: ne viene di conseguenza che a poco a poco i nostri pensieri, le nostre idee si modificano, domandandoci prima di parlare: che direbbe Gesù al mio posto? Lo stesso avviene per i nostri desideri che non rifletteranno se non la volontà di Dio, anche quando questa è dura per noi, accettandola di gran cuore, sicuri che non mira se non al bene nostro e del prossimo.
d. Permanente: certo Gesù altro non brama che di restare eternamente con noi “qui manducat meam carnem“; da noi dipende, con la sua grazia, di restargli costantemente uniti. Se la sua presenza fisica è circoscritta dalla durata delle specie, quella spirituale può essere troncata solo dal peccato.
Sono effetti sorprendenti, che ai profani farebbero pensare essere pie esagerazioni se non da rèclame. Ma non solo ai profani! Restiamo titubanti anche noi. Perché? Abbiamo la coscienza di non averli ancora costatati. Si disse: basterebbe una sola comunione a fare un Santo. E gli avversari battono in breccia contro la realtà eucaristica, proprio perché la vita dei cattolici non è diversa da quella dei pagani. Sacerdoti e semplici fedeli dopo tante comunioni non rivelano sempre lineamenti e tratti di somiglianza con Cristo Gesù, non apparisce che essi vivano della vita di Lui, non sono luminosi, non sono trasfigurati, non sono deificati. Dobbiamo dire che le parole del Signore non si sono verificate e che il Sacramento non produce quello che Gesù aveva promesso? O piuttosto che ci accostiamo a Gesù con cuore gelido, con l’indifferenza che dà l’abitudine alle cose sante?
E’ un quesito di valore immenso e che implica un rigoroso esame di coscienza, per essere sciolto degnamente. Non basta dire che gli effetti del Sacramento sfuggono, perché spirituali, ai sensi; non basta dire che alcuni santi hanno sperimentato tutta la verità delle promesse di Gesù; non basta dire che noi siamo lontani dalla santità. Le parole di Gesù devono essere vere per tutti, e se noi alla mensa dell’altare non abbiamo sentito sfaldarsi la nostra creta per indiarci, vuol dire che non abbiamo portato nemmeno quel minimo di buoni atteggiamenti spirituali, che il Re della parabola evangelica domanda anche agli sventurati, che la sua carità spinge al convito.
Ma la costatazione non è solo negativa: qualche anima bella esiste nel mondo, qualche giovinezza perenne splende nel regno di Dio: sono la prova che il Pane della vita è davvero deificante e prepara gli eletti: perché Lui è il Pane di vita e chi non ne mangia non avrà la vita in sè.