Fulgori di divinità e tenerezze di umanità si fondono stasera, al tramonto della prima tappa eucaristica nel nuovo anno apparso all’orizzonte.
Leva le tende Gesù dal massimo tempio nostro, dove pietà di Vescovo e devozione di fedeli hanno convogliato i loro sentimenti per rendere meno indegno dell’augusto Ospite l’amoroso soggiorno, e ripiglia la sua peregrinazione, sostando di chiesa in chiesa, limosinando quella carità, cui pure Gli dà diritto l’essere creatore dell’uomo, domandando quel cuore, che un giorno Lui stesso plasmò, chiedendo riparazione per quanti hanno ad ufo, a nausea la sua dimora tra noi.
E con le luci del Tabernacolo si spengono ancora quelle di Betlemme, si vuota l’ostensorio ed anche la culla, come l’altare si denuda il presepe, la fantasiosa riproduzione del paesaggio biblico, ideata e voluta per primo dal grande cuore del Poverello d’Assisi.
E l’accostamento non è solo accidentale, per circostanze di tempo, ma è anche sostanziale, per associazione d’idee: il presepe richiama l’altare, perché nell’uno come sull’altro Gesù è presente con l’unicità della Persona divina e la duplice natura umana; la greppia fu il primo ostensorio, che senza il velame delle specie sacramentali mostrò Gesù ai primi adoratori: i semplici pastorelli di Palestina, i dotti Magi dell’Oriente.
Betlemme “domus panis” ricorda il Tabernacolo, dove abita colui che promettendo il Sacramento per antonomasia disse di sè: io sono il pane vivo disceso dal cielo…
Quale migliore argomento, quindi, potrebbe presentarsi ad anime eucaristiche questa sera, se non avvicinare Betlemme al Tabernacolo? Tra l’una e l’altro io scorgo delle evidenti interferenze.
Betlemme e il Tabernacolo convengono nel mistero: mistero di fede, mistero d’amore.
A. Mistero di Fede: qual mai tra i nati all’odio… Nessuno poteva ristabilire l’equilibrio rotto dal peccato, perché ciò che è nato dalla carne è carne. Uno iato incolmabile sarebbe sempre corso tra l’omaggio riparatore dell’uomo e la dignità infinita di Dio: indegno di Dio ogni atto dell’uomo per la differenza di natura, lo era ancor di più per l’offesa…
E nel silenzio dei secoli mentre la sapienza divina prevedeva attraverso la caligine del futuro la prima colpa e la conseguente pena risuonò una voce: <<ecce Ego, mitte me>>.
La seconda persona dell’augusta Trinità proponeva la sua mediazione al Padre, <<ut nos adoptionem filiorum reciperemus>>, e Lui fosse primogenito <<inter multos fratres>>.
Quella voce echeggiò dolce al cuore del Padre, turbato per la sorte delle sue creature e accogliendola con trasporto ne garantì l’attuazione con la sua onnipotenza: <<ecce Virgo concipiet et pariet…>>.
E la terza persona, lo Spirito Santo, risponderà ai disegni del Padre e del Figlio fecondando al caldo della sua azione il seno purissimo di Maria, che a Gesù avrebbe dato tutto ciò che ogni madre dona al suo figliolo nel concepirlo.
E come il frutto giunto a maturazione si stacca dal ramo che l’ha portato senza sforzo, senza angoscia, senza fatica, Gesù << natus est ex M. V. et homo factus est>>. E così <<in terris visus est>> di nuovo D. <<et cum hominibus conv. est>>, proprio come <<ad auram vesp. >> discendeva D. nel paradiso terrestre, e nella primezza dei tempi <<apparuit benignitas et humanitas Salv…>>.
Mistero di fede un Dio che vagisce bambino in una culla mistero di fede un Dio che si rinchiude nel breve giro di un’ostia…
Nella greppia come sulla croce era manifesta l’umanità santa del Verbo di Dio, ma nel ciborio anche quest’ultimo addentellato per i s ensi vien meno:<<at hic latet et humanitas>>. Come stupito, in preda alla meraviglia, scandendo sulla coppa del vino le parole di G., ricanta ogni volta il leit-motiv del sacrificio eucaristico: “mysterium fidei“…
Mistero: verità superiore all’intelligenza umana e che noi crediamo perché Dio l’ha rivelata; di fede, di ciò che è sostanza di cose sperate e argomento delle non parventi.
Verità superiore: e come già nei riguardi dell’incarnazione il profeta Geremia aveva gridato al portento: <<creavit novum D. super terra: faemina circumdab…>> così furono colmi di stupore i Cafarnaiti, quando Gesù stesso annunziò il grande dono: <<caro mea vere est… qui manducat…>>.
E come nella casetta Nazarethana alla parola dell’Angelo, che le partecipava la sua elevazione a madre di Dio, la Vergine ebbe un fremito di dubbio: <<quomodo…>>, subito conculcato da generoso atto di assentimento: <<ecce ancilla… fiat>>; così nella perplessità dell’adesione rumoreggiava l’uditorio: <<quomodo potest…>> e l’assillo si tramutò in ribellione, rinnegando la potenza d’un Dio: <<durus est hic sermo…>>.
Difficile a comprendersi quella promessa, perché celava un mistero, e nei misteri non conta l’acume dell’intelligenza, quanto la vivacità della fede.
Fede, questa virtù teologale infusaci da Dio nel Battesimo, per cui aderiamo alla verità rivelata per la autorità di Dio che rivela, di Dio, che non s’inganna nè può ingannare.
Essa in luce incandescente inondò i pascoli palestinesi e guidò i pastori alla culla, s’accese argentea in una stella occhieggiante dalla calotta azzurra e indicò ai Magi la grotta, tracciando il cammino…
Ed essa ancora permeava di sè la mente di un Luigi IX, re di Francia, che dinanzi alle meraviglie della corte perché durante l’esposizione solenne, nella cappella del Palazzo reale, l’ostia consacrata aveva assunto le fattezze di vezzoso bambino si rifiutava di constatare personalmente il prodigio asserendo ciò non essere una novità per lui, credente nella presenza reale…
Ed essa ancora spinge la nostra lingua a snodarsi in una aperta professione, mentre il sacerdote eleva alla nostra adorazione le sacre specie, ripetendo le parole dell’Apostolo incredulo innanzi all’umanità risorta di Cristo Signore: <<Dominus meus et Deus>>.
E sia vanto per noi armonizzare mente e cuore alla mente angelica e al cuore serafico di Tommaso d’Aquino, gridando la nostra fede: <<visus, tactus, gustus… fallitur, sed auditor…>>.
<<Credo… adauge…>>.
B. Mistero di amore: credo, perché sublima la mia intelligenza l’adesione alla parola di un Dio che non s’inganna nè può ingannare…
Nel tugurio betlemita come nella cappella del Missionario giace incarnato lo stesso Dio: lo credo, perché Lui lo ha rivelato: <<mysterium fidei…>>.
Ma la mia fede è inconcussa, perché fondata sull’amore; perché credendo alla parola di un Dio ho creduto all’amore: <<et nos credidimus charitati>>; perché la causa efficiente e finale nella natività e nella transustanziazione è l’amore.
Se tutti gli attributi di Dio sono costitutivi della Sua essenza, l’amore li compendia tutti sicché S.Giovanni ha definito in un certo senso Dio, quando ha scritto: <<Deus charitas est>>.
Dio è amore. La creazione è fragrante d’amore. D’amore è impregnata la redenzione. Singolare che l’uomo creato dalla bontà e dall’amore abbia veduto fiorire come una promessa confortante l’amore accanto alla maledizione divina. Dopo il peccato e dal peccato la morte; ma Dio che punisce pare voglia far dimenticare all’uomo la punizione promettendo un innesto che sarebbe maturato al tepore della sua carità con la venuta del Cristo.
Nell’Eden, il pomo giacente per terra con i segni del morso fatale, l’uomo nascosto per vergogna e sullo sfondo di tanta rovina ecco delinearsi la visione di un Riparatore che fra le desolate lagrime dei primo prevaricatori getta quello sprazzo di luce necessario, perché neppure questa disgraziata tragedia termini con la parola esclusa dal linguaggio dei credenti: disperazione…
E viene Gesù in una notte cruda con la luce del suo amore.
Passa… <<benefaciendo et sanando omnes…>>.
<<Et cum dilexisset suos in finem dilexit eos…>>.
Dio è amore. E il suo testamento fu il sacramento dell’amore, in cui perpetuò la sua permanenza tra gli uomini. Come il sole che allarga i suoi raggi e nelle cose accende una gioia di luce nella tepida voluttà del suo infinito pulviscolo d’oro, l’Eucaristia dispensa vita e calore.
Gesù lo sapeva questa festa d’Amore, la voleva questa convergenza di palpiti e per cogliere questo profumo di cuori restò… Là nel Cenacolo, dove si agitava il desiderio eterno di un Dio che fa sua delizia starsene con i figliuoli degli uomini, Cristo dovette sentire dolcissimo nella coscienza del vicino tradimento il tributo d’adorazione dei secoli avvenire che stringeva intorno a Lui un nodo inscindibile di devozione e di lode.
Restò, perché aveva desiderato con l’intensità di un desiderio divino di mangiare la sua Pasqua con noi; perché non bastava al suo amore averci redenti e vigilare dall’alto all’applicazione incruenta della sua passione; perché non voleva che solo un popolo avesse avuto il beneficio della sua presenza fisica e reale. Il dono dell’Incarnazione doveva compirsi non più nella Palestina o in una circoscritta nazione, ma si sarebbe compiuto in forma di cibo nella carne e nel sangue di ogni uomo che non avesse rifiutato di offrirgli un posto nel cuore.
E così Gesù è con noi. Il pensiero e la certezza che illumina ogni giorno cristiano.
Fede e amore: l’essenza del mistero di Betlemme e del Tabernacolo.
Fede: nel riconoscere tra i panni come sotto le specie eucaristiche la presenza di un Dio incarnatosi per amore; amore nel ricambiare la misericordiosa bontà di un Dio latente nella mangiatoia e nel ciborio e adorato come tale per fede.
Fede e amore: gl’insegnamenti che Betlemme e il Tabernacolo danno agl’indaffarati uomini del ‘900, che rinnegando la fede aberrano per vie scettiche in ateismo pratico, e privi di genuino amore scavano abissi, seminano rancori, sognano vendette.
Fede e amore: la freneticante società moderna li troverà nella presenza reale di un Dio, che se ha promesso di essere con noi sino alla consumazione dei secoli, lo ha mantenuto in senso teologico mediante l’indefettibilità della Chiesa, dal suo Spirito guidata ed illuminata, ma in modo sensibile tramite la transustanziazione del pane nel suo corpo, del vino nel suo sangue.
Con quella stessa penna, con cui aveva scritto i ponderosi trattati di economia sociale, G. Toniolo redigeva un libriccino di poche pagine “L’Eucaristia e la Società“.
La piccola mole non è danno dell’argomento e le minuscole proposizioni ricordano la pietra angolare che si pone a fondamento dell’edificio…
Non vi è possibilità di alcun profondo e duraturo risorgimento di civiltà senza tre indispensabili presidi: senza grandi idee, senza vigorosi affetti, senza eroici sacrifici. Questa triplice condizione rimane assegnata ed imposta alla cristianità per ogni grado di ascensione nell’incivilimento, da quel giorno che il primo e decisivo trapasso dalle tenebre del Paganesimo alla luce rinnovatrice del Vangelo aveva richiesto la sapienza, la carità e l’immolazione di un Dio.
Grandi idee: l’età moderna geme schiacciata sotto il pondo della materia; nè solo per triste influsso di dottrine materialistiche, m’ancora per il parossismo di materiali cupidigie, che comprime ogni slancio d’idea. E qui ai piedi di Gesù, dell’Eterna Idea, del Logos, della Sapienza, noi riaccendiamo sublimi ideali.
Vigorosi affetti: la società moderna agonizza nell’egoismo che assidera e nell’ odio che avvelena. E qui sul petto di Gesù attingiamo l’amore puro, l’amore operoso, che riscalda, rifeconda, ricostruisce la novella società fondata sulla giustizia e sulla carità.
Eroici sacrifici: la civiltà moderna, travolta dallo spirito di distruzione, si appresta a tutto sacrificare libertà e proprietà, ricchezza e classi, perché con essa muoia e scompaia questa odiata civiltà umana. E da Gesù, che ogni giorno s’immola sugli altari per i suoi figli, impareremo a sacrificarci fino alla morte, perché la civiltà risorga a vita divina.
E’ quanto Ti chiediamo, o Gesù, prostrati dinanzi alla bianca ostia; è ciò che racchiudiamo nel caldo bacio che deporremo sulla infantile tua immagine. Fissando lo sguardo a Betlemme, donde 20 secoli fa si partì il Verbo di vita per il mondo brancicante nelle tenebre di morte puntando la pupilla sui veli eucaristici, simbolo di visione eterna nei cieli, pegno di progressive conquiste sulla terra riaccendiamo la fede fulgida ed inconcussa nei sublimi destini della civiltà e nella infallibile risurrezione, di cui oggi salutiamo fidenti gli albori.