La storia della Chiesa leccese non potrà essere scritta
compiutamente senza ricorrere al magistero di don Ugo.
Il segreto prezioso del suo magistero: il suo stile, il
suo modo di insegnare, di indicare linee di sviluppo, far
brillare idee, non imporre progetti definiti fin negli ultimi
dettagli, far crescere nella responsabilità, nel
rispetto profondo dell'interlocutore, del destinatario del
suo magistero, convinzione della irripetibile originalità
di ciascuna creatura, delicatezza somma.
C'è in lui una umanità compiuta, non compresa,
non disprezzata; una umanità immersa nella realtà
meravigliosa del creato, dalla quale egli attinge nuove
immagini e figure per presentare la difficoltà dell'ascesa
del cristiano verso la perfezione.
La sua passione per i "più piccoli" (evangelicamente),
per gli "ultimi"; la sua preoccupazione di sminuzzare
il pane della verità perché da tutti possa
essere gustato.
Animo sensibile e poetico.
Compresi negli anni cinquanta quello che chiedeva all'A.C.,
come meglio avrei visto dieci anni più tardi quando
nel 1960 mi ritrovai, Presidente della Giunta diocesana,
al fianco di lui, Delegato vescovile per l'A.C..
Lo avevo già incontrato in Giunta nel corso di quei
dieci anni perché era Assistente diocesano della
G.F. ed io responsabile del Movimento Laureati; ma proprio
con riferimento a quel periodo ho, in particolare, un ricordo
di lui che non posso tacere perché sta a dire della
sua profonda cultura e della sua incondizionata disponibilità.
Avevo fissato una riunione per i laureati cattolici, come
preparazione alla solennità di Pentecoste, d'accordo
con l'Assistente don Mario Corallo sul tema: "Meravigliosa
umanità di Cristo".
Al momento della riunione mi trovai in serie difficoltà
perché don Mario non arrivava. Ed ecco che incontro
don Ugo al quale feci presente quanto stava accadendo ed
egli pronto, mi disse : vengo io. Subito tirò fuori
una scaletta e da quella scaletta la sua parola fluì
limpida e chiara. Aveva scelto un brano della 1a lettera
di San Paolo ai Corinzi, cap.8; il versetto è questo:
"Scientia inflat, caritas vere aedificat".
Queste le parole che ci dettò:
"Vi sono di quelli che amano di sapere solo per sapere;
ed è turpe curiosità.
Altri che desiderano di conoscere perché essi stessi
siano conosciuti; ed é turpe vanità.
Ci sono di quelli che desiderano di sapere per vendere la
loro scienza per denaro, per onore; ed é turpe mercimonio.
Ma ci sono anche di quelli che vogliono sapere, solo per
edificare; ed è carità.
Ci sono di quelli che desiderano di sapere per essere edificati;
ed è prudenza.
Che cosa produrrebbe la scienza senza la carità?
Gonfierebbe.
Che cosa l'amore senza la scienza? Errerebbe.
Risplendere soltanto, è vano.
Ardere soltanto è poco.
Ardere e risplendere è perfetto".
Aveva tolto queste espressioni meravigliose dal Sermone
36 sul Cantico dei Cantici di Bernardo di Chiaravalle e
l'aveva dettato a noi. Un autentico dono per noi "laureati"
chiamati perciò ad essere "guide" ed "esempio"
nella società.
E qual migliore suggerimento per dare contenuto alla nostra
preghiera in quella vigilia di Pentecoste: chiedere al Padre
il "dono dello Spirito Santo"?
Gli chiesi di poter avere quella scaletta e la feci stampare
sul retro di un'immaginetta raffigurante lo Spirito Santo.
Come era efficace e chiarissimo e suadente il suo "insegnare",
e sempre affettuoso e fraterno. E, a ciascuno il suo: al
laico, a me con lui, la mia parte con occhio attento e comprensivo
all'organizzazione.
Un testimone, ed io sono teste, non deve dare "giudizi";
deve solo narrare ciò che ha viso o sentito con i
suoi occhi e con le sue orecchie. E quel che ho visto ho
in sintesi detto.
Ma io ho visto ed ho sentito anche la sua "santità".
"Dove abiti, Signore?". "Vieni e vedi".
No, non sono mai stato a casa sua. Ma la casa in cui l'ho
trovato è stata la Chiesa Cattedrale di Lecce...
il suo confessionale al fondo della Chiesa e, in attesa
dei penitenti, con il fascicolo di "Civiltà
Cattolica": "...non lo ripongo senza averlo prima
letto e studiato tutto; prima che arrivi il successivo".
L'ho trovato nella cappella di via S. Venera, "Cappellano
eccellente" a ripetere continuamente a tutti i frequentatori
del "palazzo" che là era il centro propulsore
e animatore di tutto l'apostolato: dal Tabernacolo, come
aveva scritto don Alberione, Gesù ripeteva a quanti
andavano a prostrarglisi ai piedi: "Io sono con voi
tutti i giorni fino alla fine del mondo, di qui voglio illuminare".
E in quei momenti di raccoglimento e di preghiera sentivi
realmente che "Cristo è sempre presente nella
sua Chiesa... sia nella persona del ministro", di don
Ugo, sia soprattutto sotto le Specie Eucaristiche.
E l'ho sentito, nel nostro andare da una parrocchia all"altra,
in quel parlare... "anima ad anima": la sua umiltà
splendeva in quel sapere essere amico saggio ed affettuosissimo
con una dolcezza ed una tenerezza che la "severità"
di cui ho detto non lasciava neppure immaginare.
Non finirò mai di ringraziare il Signore per avermelo
fatto incontrare. Che io sappia essere testimone come egli
voleva che fossimo quanti ci diciamo di Cristo.
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